In un articolo pubblicato sull’Harvard Business Review, lo studioso di storytelling Jonathan Gottschall ha parlato del “caso Theranos”, una società che studia (più precisamente studiava, visto che è sulla via del fallimento) nuove tecnologie mediche.
La fondatrice, Elizabeth Holmes, è diventata famosa per avere ottenuto a soli 19 anni un investimento di 9 miliardi di dollari per finanziare una sua idea imprenditoriale, quella di un macchinario di dimensioni ridotte capace di produrre diversi esami medici da una quantità esigua di sangue. Nel 2015 si è scoperto però che questo macchinario non ha mai funzionato, e che la maggior parte dei brevetti registrati dalla società era completamente privo di valore.
Da un’analisi della vicenda, pare che il caso della Holmes sia frutto di due fattori concomitanti:
- La mancanza di controllo dell’ufficio brevetti americano, riguardo ai brevetti (per la maggioranza falsi o dozzinali) che la Holmes stava registrando tramite la sua azienda
- Le incredibili doti da storyteller che la Holmes ha dimostrato
Un giornalista di Vanity Fair in un lungo articolo ha dichiarato infatti che l’azienda è arrivata dove è arrivata solo grazie a “una storia incredibilmente buona”. La Holmes è riuscita a creare attorno a sé una narrazione compatta e aspirazionale, quella di una precoce ragazza geniale che ha iniziato a sperimentare tecnologie mediche che potrebbero potenzialmente salvare milioni di vite in tutto il mondo.
Nonostante l’abbondanza di segnali di avvertimento e nonostante il rifiuto della società di fornire prove concrete del funzionamento della tecnologia su cui stava lavorando, i giornalisti non hanno valutato la storia della Holmes in modo scettico. Hanno raccontato e ri-raccontato la storia della giovane imprenditrice geniale fino a quando la ragazza ha smesso di essere una persona reale, sfumando nell’icona, in un simbolo di imprenditoria, progresso, innovazione, emancipazione femminile.
La sospensione dell’incredulità
Lo studioso di storytelling Jonathan Gottschall sottolinea a questo punto una questione fondamentale, quella del perché ci riesce così facile credere alle storie.
Ecco cosa si risponde:
“Secondo il grande poeta e filosofo inglese Samuel Taylor Coleridge (1772-1834), il godimento della finzione richiede una “sospensione volontaria dell’incredulità”, una decisione consapevole. Diciamo a noi stessi: “Beh, so che questa storia di Beowulf che combatte contro Grendel è finta, ma ho intenzione di disattivare il mio scetticismo per un po’ in modo che io possa godermela”.
Ma non è così che funziona. Non sospendiamo volontariamente la nostra incredulità. Se la storia è forte, se chi racconta è bravo, la sospensione dell’incredulità ci succede e basta, con o senza il nostro permesso. Lo si può attribuire al potere dell’emozione. Le storie di successo generano sentimenti potenti, e i sentimenti forti sono il solvente della nostra logica e del nostro scetticismo. “
Secondo Coleridge, il godimento di un racconto richiede una "sospensione volontaria dell'incredulità". Ma funziona così. Non sospendiamo volontariamente la nostra incredulità. Se la storia è forte, la sospensione dell'incredulità ci… Condividi il Tweet“Per dirla in modo positivo, le belle storie – immaginarie o meno – ci rendono più aperti. Per dirla in senso negativo, ci rendono molto più creduloni.”, conclude Gottschall.
Maria Konnikova nel suo libro The Confidence Game spiega che una buona narrazione è al centro di ogni truffa, e questo è il motivo per cui le riviste accademiche escludono la tecnica della narrazione dai rapporti scientifici.
Gli scienziati comprendono che lo storytelling annebbia l’analisi oggettiva.
L’articolo originale di Gottschal sull’Harvard Business Review può essere trovato qui
(Trento, 1983) Content creator, primo tiktoker italiano a parlare di cinema. Sceneggiatore ed esperto di storytelling. Ha pubblicato due romanzi grafici: “La principessa che amava i film horror”, e “The moneyman”, una biografia di Walt Disney a fumetti. Quest’ultimo è pubblicato in quattro Paesi. Laureato in Scienze della Comunicazione e diplomato in Book Publishing Strategies a Yale.