Nel 2005 David Mamet, regista, sceneggiatore e autore teatrale, sta lavorando come showrunner (in questo caso soprattutto come coordinatore del reparto sceneggiatura) alla serie “The Unit” per CBS. La serie è un adattamento da un libro di Eric L. Haney dal titolo “Inside Delta Force”, che parla delle forze speciali statunitensi impiegate contro il terrorismo.
CBS però non è contenta: dopo la visione delle prime puntate lo show sembra lento, moscio e poco chiaro. Il network chiede delle modifiche, e il problema, per conto loro, è che tutto va spiegato meglio.
David non è per nulla d’accordo, manda una nota (furiosa) a tutti gli sceneggiatori coinvolti nel progetto, con alcune indicazioni su come migliorare la scrittura, ve le riporto di seguito.
NOTA BENE: il punto centrale di tutta la lettera Mamet è il creare “drama”. Poiché non esiste in Italiano una parola che traduca efficacemente la parola nell’accezione in cui viene usata in questo testo (e poichè la parola “dramma” è fuorviante per un lettore italiano), l’ho tradotto con “tensione drammatica” o “tensione narrativa”.
La nota agli sceneggiatori
A: gli sceneggiatori di The Unit
Saluti.
Mentre impariamo a scrivere questo spettacolo, un problema ricorrente diventa sempre più chiaro.
Il problema è questo: capire la differenza tra ciò che ha tensione narrativa e ciò che non ne ha. Lasciate che entri nel dettaglio.
Dalla rete ci urlano che dobbiamo rendere la serie più chiara. Sembra quasi che il nostro incarico sia di incastrare una vagonata di informazioni nel poco tempo di una puntata.
I nostri amici pinguini (termine gergale per intendere “quelli in giacca e cravatta del Network” NdR), pensano che il nostro lavoro sia comunicare *informazioni* — e così, a volte, finisce per sembrare anche a noi.
Notate bene: il pubblico non si sintonizzerà sul nostro canale per essere travolto dalle informazioni. A voi non interesserebbe, a me non interesserebbe, a nessuno interesserebbe nè interesserà mai. Il pubblico guarderà il nostro show e continuerà a guardarlo solo ed esclusivamente per la tensione narrativa.
Domanda: che cos’è la tensione narrativa? È la ricerca dell’eroe di superare quelle cose che gli impediscono di raggiungere un obiettivo specifico, *chiaro*.
Quindi noi scrittori dobbiamo farci *in ogni scena* queste tre domande.
- Chi vuole cosa?
- Cosa succede se non lo ottiene?
- Perché lo vuole adesso?
Queste domande sono una cartina tornasole. Applicatele, e la loro risposta vi dirà se la scena ha una tensione narrativa o no. Se una scena non è scritta con tensione narrativa, non sarà recitata con tensione narrativa.
Se una scena non è scritta con tensione narrativa, non sarà recitata con tensione narrativa. Condividi il TweetNon esiste una magica polvere di fata che renderà interessante una scena noiosa, inutile, ridondante o semplicemente informativa dopo che ha abbandonato la vostra macchina da scrivere. *Voi scrittori* avete il compito di garantire che *ogni* scena abbia una sua tensione narrativa.
Questo riguarda soprattutto tutte quelle “piccole” scene espositive, in cui due persone parlano di una terza. Questi orpelli (che tendiamo tutti a scrivere nella prima bozza) sono meno che inutili, e non devono finire nella stesura finale, men che meno dovrebbero essere filmati, Dio ce ne scampi.
Qualcuno deve farsi carico di rendere la scena carica di tensione. Non è il lavoro degli attori (il lavoro degli attori è di essere realistici). Non è il lavoro dei registi (ll loro lavoro è filmare le scene e ricordare agli attori di parlare velocemente). È il vostro lavoro.
Ogni scena deve essere carica di tensione. Il personaggio principale deve avere un bisogno semplice, diretto, pressante che lo spinga a far parte della scena.
Questo bisogno è il motivo per cui il personaggio è lì, in quella scena. È ciò di cui la scena parla. Il suo tentativo di soddisfare quel bisogno è ciò che ci porterà, alla fine della scena, al fallimento – ecco come la scena finisce. Questo fallimento, poi, per necessità, ci spingerà nella prossima scena.
Tutti questi tentativi di raggiungere la soddisfazione dei propri bisogni da parte dei personaggi, messi insieme nel corso dell’episodio, costituiranno la trama dell’episodio.
Qualsiasi scena, quindi, che non porti avanti la trama, e che stia in piedi da sola (la cui tensione narrativa cioè non sia legata ad altre scene) è superflua, o scritta in modo sbagliato.
Sì ma, sì ma, sì ma, voi dite: che dire della richiesta che ci fanno di inserire tutte quelle informazioni?
E rispondo “trovate voi il modo“. Qualsiasi testa di cazzo con un completo blu può essere (ed è) addestrata a dire “rendete tutto più chiaro“, e “voglio sapere di più questo personaggio“.
Quando avrete scritto tutto nel modo più chiaro, e anche questo pinguino in tuta blu sarà felice, sarete entrambi disoccupati.
Il lavoro di chi scrive è quello di far sì che il pubblico si chieda: “cosa succede dopo?”. *Non* di spiegare cos’è appena successo, o di *suggerire* cosa accadrà dopo.
Il lavoro di chi scrive è quello di far sì che il pubblico si chieda: “cosa succede dopo?” Condividi il TweetNon siamo pagati per *capire* che il pubblico ha bisogno di queste informazioni per comprendere la scena successiva, ma per trovare un modo di scrivere la scena al nostro meglio, in modo che il pubblico sia interessato a quello che succede in seguito.
Sì ma, sì ma, sì ma, ripetete.
E rispondo: trovate voi il modo.
Come si capisce quali informazioni dare allo spettatore e quali non dare, per creare tensione narrativa? Questo è il compito essenziale di chi scrive. E la capacità di fare questo è la differenza tra voi e le specie non evolute in tuta blu.
Capitelo.
Iniziate, ogni volta, con questa regola inviolabile: la scena deve avere tensione drammatica. Deve iniziare perché l’eroe ha un problema, e deve terminare con l’eroe che si trova ostacolato, oppure educato all’idea che esiste un’altra via per risolvere il problema.
Guardate le prime righe della sceneggiatura: qualsiasi scena che inizi con “Bob e Sue discutono di…” non descrivono una scena carica di tensione narrativa.
Vorrei farvi notare che i nostri soggetti sono, in generale, spettacolari. La tensione narrativa fila liscia nel soggetto fino alla prima bozza.
Cominciate a pensare come un regista più che come un funzionario CBS, perché, in verità, voi state facendo il film. Quello che voi scrivete, loro filmeranno.
Ecco dei segnali che state scrivendo una scena moscia:
Ogni volta che due personaggi parlano di un terzo, la scena è una montagna di m*rda. Ogni volta che un personaggio dice a un altro “come sai…” (cioè dice a un altro personaggio quello che tu, lo scrittore, devi far sapere al pubblico), la scena è una montagna di m*rda.
Smettete di scrivere montagne di merda. Scrivete scene commoventi di tre, quattro, sette minuti che portino avanti la trama e potrete, molto presto, acquistare una casa a Bel Air.
Ricordate che state scrivendo per un mezzo visivo. I movimenti di camera possono spiegare le cose al posto vostro. Lasciate che lo facciano! Cosa stanno *facendo* -*letteralmente*, i personaggi? Cosa stanno maneggiando, cosa stanno leggendo? Cosa guardano in televisione, cosa *vedono*?
Ricordate che state scrivendo per un mezzo visivo. I movimenti di camera possono spiegare le cose al posto vostro. Lasciate che lo facciano! Cosa stanno facendo i personaggi? Cosa stanno maneggiando, cosa stanno leggendo, cosa… Condividi il TweetSe fingete che i personaggi non possano parlare, se scrivete come se steste scrivendo un film muto, vi uscirà una forte tensione narrativa.
Se vi private della stampella dei dialoghi, sarete obbligati a lavorare con un mezzo nuovo, ovvero il raccontare la storia per immagini.
È una abilità nuova, nessuno lo fa naturalmente. Potete allenarvi a farlo, ma dovete iniziare.
Chiudo con un pensiero: guardate la scena e chiedetevi: “è drammatica? è *essenziale*? fa avanzare la trama?”.
Chiedetevelo onestamente.
Se la risposta è “no” riscrivetela o eliminatela.
Dave Mamet
Santa Monica 19 ottobre 05
(Trento, 1983) Content creator, primo tiktoker italiano a parlare di cinema. Sceneggiatore ed esperto di storytelling. Ha pubblicato due romanzi grafici: “La principessa che amava i film horror”, e “The moneyman”, una biografia di Walt Disney a fumetti. Quest’ultimo è pubblicato in quattro Paesi. Laureato in Scienze della Comunicazione e diplomato in Book Publishing Strategies a Yale.
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