È suppergiù il 1930 e la produzione di film americana si sposta dalla Costa Est a quella Ovest, nello specifico in un posto chiamato Hollywoodland (da Holy wood land, poi, per brevità, Hollywood).
Il posto è stato scelto perché dotato di un terreno desertico e di un clima particolarmente adatto alle riprese in esterna: piove poco e d’inverno non fa troppo freddo, si può riprendere all’aperto per oltre 300 giorni l’anno.
Si cominciano a registrare film western. È l’epoca delle sparatorie, dei cavalli in corsa e degli assalti alle diligenze, e subito ci si scontra con i limiti tecnici che la nuova tecnologia per registrare l’audio impone ai registi: l’audio delle riprese in esterna è pessimo, l’ingombrante strumentazione è inadeguata a riprendere scene d’azione.
Jack Foley e la sonorizzazione
Un geniale artista del suono, tale Jack Foley, realizza che è inutile cercare di registrare i suoni di alcune scene dal vivo, e inventa la tecnica di sonorizzazione usata ancora oggi, quella per cui mentre i dialoghi vengono registrati dal vivo quando gli attori stanno recitando, i suoni vengono ricreati in studio e aggiunti in postproduzione.
Ecco che nei film western sulle immagini di cavalli al galoppo viene quindi inserito il suono di due gusci di cocco sbattuti uno contro l’altro. Questo suono è perfettamente identico al suono degli zoccoli contro il legno.
Col tempo però, complice il fatto che è molto economico da produrre, il “coconut sound” è stato usato per ogni tipo di cavallo in corsa, su ogni tipo di terreno, diventando quello che tecnicamente si chiama un tropo (trope, in inglese).
I tropi
I “tropi” sono quei luoghi comuni ormai codificati nell’immaginario del pubblico a cui spesso gli sceneggiatori (i registi, i sound designer, ecc.) ricorrono per semplicità, a volte per pigrizia, a volte inconsapevolmente.
Sono in pratica delle immagini, delle inquadrature, dei suoni, che vediamo ripetersi nel cinema (o in ogni altro genere di produzione mediale, sia essa serie tv, libro, video online). I tropi hanno sempre una loro storia, che ce li rende familiari anche se spesso non sono aderenti alla realtà.
I "tropi sono quei luoghi comuni codificati nell'immaginario del pubblico a cui gli sceneggiatori e i registi ricorrono per semplicità, a volte per pigrizia, a volte inconsapevolmente. Condividi il TweetPer capirci, sono tropi:
il sedano che esce da ogni busta della spesa, il suono “shhwiing” della spada estratta dal fodero (o peggio ancora fatta volteggiare in aria), il fatto che una videocamera a cui vengano tagliati i cavi rimandi su uno schermo il white noise (con l’avvento del segnale digitale il white noise non esiste più da 15 anni), ma anche alcuni personaggi o dinamiche tra personaggi (ad esempio: la gang dei bulli) o alcune rappresentazioni della seduzione (la femme fatale).
La cosa curiosa è che, dopo anni di esposizione a certi tropi, il pubblico si è ormai abituato ad un certo effetto di senso, e percepisce come poco credibile una scena che NON li contenga.
Tanto che ad oggi alcuni studi sul pubblico hanno evidenziato come la mancanza di questo suono faccia percepire la scena come poco credibile.
L’effetto “Orange box”
Questo è noto come “effetto Orange Box” (scatola arancione), giocando sul nome delle “scatole nere” degli aeroplani, che sono nella realtà arancioni, per renderle più facili da individuare in caso di disastro aereo.
Orange Box Effect: quando la scena di un prodotto mediatico (serie tv, film) è aderente alla realtà ma non rispetta i canoni cui il pubblico è abituato, e viene quindi percepita come falsa. Condividi il TweetIl sito TVtropes, che vi riporto in calce, cerca di raccogliere e ordinare i tropi più ricorrenti. Hanno anche una pagina chiamata “la realtà non è realistica”, che parla proprio del fatto che alcune scene di film particolarmente aderenti alla realtà si scontrano con le aspettative del pubblico e vengono quindi percepite come “false”, pur essendo al contrario “troppo vere” per essere capite.
LINK a TVtropes
(Trento, 1983) Content creator, primo tiktoker italiano a parlare di cinema. Sceneggiatore ed esperto di storytelling. Ha pubblicato due romanzi grafici: “La principessa che amava i film horror”, e “The moneyman”, una biografia di Walt Disney a fumetti. Quest’ultimo è pubblicato in quattro Paesi. Laureato in Scienze della Comunicazione e diplomato in Book Publishing Strategies a Yale.
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